lunedì 28 gennaio 2013

traduzioni catodiche (1998)











A girar per strada con la macchina a tracolla ed il cavalletto sotto braccio non si può poi andar così lontano.
Un clic per mutare uno spazio in una immagine a due dimensioni e fermare il tempo. Ma quel che lo rende speciale è proprio l’assenza oggettiva della quarta dimensione. Una frazione di secondo e un clic non diventa registrazione ma rappresentazione della materia reagente alla luce. Grigie sfumature e dissolvenze colorate atte a focalizzare qualcosa, trait d’union invisibili a saturare la forma del tempo e la durata dello spazio.
Questa lettura a mezzo di fotogrammi è l’occhio (dis)umano a decidere quando farsi. Ma è la pellicola, l’obiettivo e più di tutto la materia e la luce che hanno facoltà di farsi soggetto fotografico e darsi alla fotografia. A morire come immagine e stazionare nel limbo di stampe e ristampe nel ricordo dell’hic et nunc e dell’aura che un tempo fu.
Ma l’immagine della materia o la materia immaginata è se non altro anche sorgente di luce. Immagine sempre bidimensionale per natura che diventa proiezione di se stessa, presentandosi come mosaico aureo a tessere di pixel.
Quindi è l’occhio che, analfabeta,legge immagini che il dizionario catodico traduce:
colori ritmi contrasti,
silenzi suoni ribollimenti,
visi crisi sorrisi,
sguardi espressioni delusioni,
sequenze presenze assenze,
profili profeti profitti,
caratteri universali e peculiarità dell’ essere odierno continuamente sottoposto a raffiche di segnali fisici e virtuali sempre più lontani da toccare, contattare... perché sempre più piccoli, immateriali, inesistenti.
Exploit dell’essere schiacciato tra due secoli, strabiliato o allucinato o idiota.
Mai geniale, non tanto pazzo per esserlo.